Quattro ruote

Ho presa un’auto, l’ho comprata da un collega. Si tratta di una utilitaria, del 2001, marchio francese, grigia, con qualche graffio. È a benzina, milledue di cilindrata, fa il suo lavoro: porta me al lavoro, e in giro i miei strumenti quando serve.
Avevo smessa la mia vecchia auto (utilitaria, del 2003, marchio italiano, blu) nell’estate del 2011. All’epoca pensavo che non mi servisse più un’auto. Pensavo fosse più giusto utilizzare i trasporti pubblici per muoversi. Per andare al lavoro. Non consideravo l’immensa perdita di tempo cui andavo incontro. Ero focalizzato sulla mia solitudine al volante. E in tangenziale guardavo dal finestrino gli altri dai loro finestrini, soli come me. E mi figuravo una massa di persone sole nelle loro sole auto che andavano a Brescia, come me. Mi sembrava uno spreco. Sragionavo di soldi risparmiati perché “l’abbonamento costa solo 80 euro al mese”.
In cinque anni ho passate 1800 ore della mia vita seduto o stipato sui mezzi pubblici, oppure in piedi a qualche fermata, al buio, al freddo, sotto il sole, sotto la pioggia, nella nebbia. A che prezzo?
Alla fine ho capito che non ne vale la pena, se puoi avere un’auto. Sì, lo stress aumenta, ma neanche tanto. In confronto, sapere di essere a solo 5 minuti in auto da un posto, ma non poterci andare direttamente perché coi mezzi ci metteresti il triplo del tempo (senza contare i minuti fino alla prossima coincidenza), e a piedi ci metteresti tre quarti d’ora, non ti fa stare più tranquillo.
Sì, i costi aumentano.
Perciò ho presa un’auto di seconda mano.
Perciò in paese tendo a muovermi comunque a piedi.
Perciò vado piano.
E comunque, se al lavoro mi chiedono di restare di più, posso farlo, senza preoccuparmi di orari di rientro. E a fine mese questo è un fatto positivo.
Mi sto affezionando alla mia nuova automobilina vecchia. Ha qualche acciacco, pazienza. Ripongo in essa speranze e possibilità, mi sento più libero.
Prendo, e vado, finché c’è tempo, finché ci sono strada e benzina.