Un tranquillo week-end di paura: sabato

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Appuntamento nel parcheggio di un certo locale a mezzanotte! E così non è più sabato, in pratica, e comincia quello che poi potrebbe essere ricordato come “un tranquillo week-end di paura”; non ha importanza adesso, comunque.

Zaino e chitarra. Poco prima mi muovevo portando a tracolla l’uno e a mano l’altra lungo una notturna Via De Gasperi, in Carpen City. L’ex “Bar Gas” che ha riaperto i battenti per l’ennesima volta è la cornice della mia camminata spettacolare fra passanti, bambini curiosi (“cos’è?”) e fari di macchine. In qualche minuto giungo al “Jazz”, stasera nella sua ultima sera… almeno fino a settembre. Sono solo, è prestissimo. Di lì a poco arriveranno gli altri, e poi finalmente la rivedrò.
La rivedremo tutti, voglio dire.

Scorrimento veloce.

Siamo nel parcheggio di un certo locale. L’ora in realtà è un po’ oltre la pattuita mezzanotte, e ancora deve arrivare gente: si fa ghetto.

Scorrimento veloce.

E quante macchine, qui sul lago! Io e il mio amico ci divertiamo a scambiare le lettere delle scritte che vediamo qui e là. Le insegne si trasformano, i cartelli diventano ridicoli, e suonano come “aterpo giutti i torni”, o “una cazzina di taffè”.
Facciamo un po’ di mish-mash, perché al posto dove volevamo andare… beh, non ci si può più andare.

Scorrimento veloce.

Dio, che vento. Ho freddo, davvero. Ma è come se fossi acceso dentro, e questo contrasto mi piace tantissimo. I palmi delle mie mani sono caldi, eppure ho la pelle d’oca! Il lago mi sembra un mare increspato, è un po’ che non lo vedevo. Mi ci tufferei. Sistemiamo i viveri, gli asciugamani. Non conosco tutti, ma non importa. Si fa serata, ci si fa compagnia lo stesso. La chitarra suona praticamente da sola, non passa un minuto senza che si rida, senza che si canti, senza che si parli. Mi lancio (no, ma dai!) nell’imitazione del bluesman, mi sento l’istrionico protagonista di “One For The Road”. Alterno la festa alla solitudine contemplativa. Mi estraneo, anche e soprattutto da lei.
Non mi accorgo subito, del resto, che lei non è più sola. E che non è con me.

Lei e lui, lui e lei.

Mi scopro ad osservarli, ma bevo e canto, o guardo il buio.
Va tutto bene; in fondo sono illuminato dalla candela, in fondo sono riscaldato da questo sacco a pelo, in fondo sono abbracciato da questa notte, da questo vento, da questi suoni.
Immergo i piedi nell’acqua, sulla sabbia, sui sassolini. Chiudo gli occhi verso est, ascolto la risacca.

Sto.

Scorrimento veloce.

Sta per albeggiare. Chi diavolo ha messo su i Beach Boys? Mai una volta che mi capiti di sentire due volte la stessa canzone, di festa in festa. Ma li senti subito che sono loro, e chissà perché è più o meno sempre il momento adatto. Sta per albeggiare.

Scorrimento veloce.

Il cielo è grigio con una ferita rossa, là dove dovrebbe esserci il sole. Ci sono scogli, c’è l’acqua. Il vento non aiuta a muovere con fermezza i piedi in un Cammino che sia retto. C’è una potentissima simbologia in tutto questo, ci sono dei segnali, delle metafore. Non le colgo adesso, mi limito a guardare il cielo, ad andare nella direzione di chi mi chiama. Si deve tornare.

Stop.