Al voto?

Sappiamo tutt* che la presunta irrazionalità del voto è uno spazio comodo per legittimare scelte che razionalmente non faremmo perché sono a beneficio solo di quei pochi che in quel momento possono trarre vantaggi da una manovra piuttosto che un’altra, e il più delle volte a danno per tutti gli altri.
In teoria non è un errore un sistema a democrazia rappresentativa come è il nostro. Ma presupporrebbe una differenza sostanziale rispetto alla democrazia rappresentativa per come la si interpreta in Italia, almeno da quando me la ricordo io (cioè dagli anni novanta): che la cittadinanza non sia “la base” ma “il vertice” del sistema partitico.
Le dirigenze dei partiti dovrebbero rispondere direttamente ai cittadini. Ed essendo che i partiti dovrebbero essere istituzioni con una storia e una memoria, sarebbe necessario che a guidarli ci sia una cittadinanza matura, consapevole e responsabile. Che senso avrebbe distinguere la maggiore età dalla minore età, altrimenti? Arrivare solo anagraficamente alla maggiore età invecchiando anziché maturare è di per sé la mancata realizzazione del senso dietro al concetto di cittadinanza. Allora davvero la cittadinanza è uno status, qualcosa di cui si può solo essere riconosciuti e investiti, senza meriti, per discendenza? Questo non è per niente in linea con quella carta di valori che è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. E non è nemmeno in linea con i primi 3 articoli della nostra Carta Costituzionale, in particolare il terzo.
E se i partiti sono, dovrebbero essere, alle dipendenze della cittadinanza, la cittadinanza tutta deve essere in grado di formare quanto meglio può, e di riconoscersi, nelle istituzioni dello Stato, che sono la nostra identità di italian*. Ogni cittadin* italian* dovrebbe provare orgoglio nei confronti di queste istituzioni non tanto come se fossimo in rapporto filiale, ma come se si trattasse di qualcosa che ci è stato affidato, e nel quale apportiamo il nostro valore aggiunto, in termini di tempo e risorse. Essere parte della cittadinanza significa impegnarsi per esserlo attivamente, partecipando. Finché continueremo a sbolognare i problemi e le questioni a chi decidiamo di mettere al di sopra di noi stessi, continueremo ad agire come fanno i bambini quando non sanno come uscire da una situazione difficile e scomoda.
Attraverso cosa riusciremo tutt* a far valere il nostro potere? La conoscenza e il dialogo.
In quest’epoca l’ignoranza è una scelta irresponsabile, e la paura della parzialità un errore. Sicuramente l’informazione è di parte, l’importante è non dimenticarsi mai di tenerlo a mente. Quando ci confortano dicendoci “è così”, non abbandoniamo mai un sano scetticismo nella pretesa dell’onere di una prova. E qualora questa ci venisse fornita, e non ci convincesse, non smettiamo di cercare. Cerchiamo di mantenere variegata la nostra visione, e cerchiamo di affinare il nostro buon senso. Che non è buono per definizione, ma per completezza.
Se i partiti, anche quando si chiamano movimenti, fanno degli errori, rispondono a noi. C’è tutto il tempo di discernere cosa è stato fatto bene, e cosa è stato fatto male, e da lì procedere. Non siamo in guerra, e non siamo (ancora) in una situazione di emergenza in cui non c’è tempo per le scelte ponderate. Pretendiamo responsabilità da chi l’ha avuta in affido da noi.
Vedremo che questo tipo di atteggiamento può funzionare in ogni ambito della nostra vita. Ai capi, ai genitori, ai “sacerdoti” (detentori di verità assolute) chiediamo loro, anzi pretendiamo competenza e fermezza, e non perché dobbiamo scovare in loro chissà quali difetti o per attaccarli. Ai nostri dipendenti, ai figli, ai nuovi arrivati diamo ascolto, perché sicuramente non abbiamo una visione completa, e perché la collaborazione non può lasciare che i dubbi e le insicurezze minino la fiducia tra le persone.
La questione del voto è una questione nobile, e richiede nobili intenti e nobili mezzi. Non sono certo il primo a dire che come donne e uomini del consorzio umano siamo chiamati a innalzarci rispetto a quello che ci lascia in una condizione bestiale. Ci sono spazi e tempi per divertirsi, provocare, combattere, giocare, scherzare, tifare, e spazi e tempi per essere seri, impegnarsi, moderarsi, abbracciarsi, crescere, vincere o perdere. Quando il voto si riduce alla scelta del simbolo, alla ripartizione dei numeri, a una risposta pavloviana: drizziamo le orecchie, e non commettiamo l’errore di non voler partecipare. Il “gioco” cambia anche in base al numero dei partecipanti, e quando ci sembra che ci possa offrire solo opzioni perdenti, non dimentichiamo che la maggioranza siamo noi quando siamo uniti nella cittadinanza prima di essere divisi dalle ideologie, dai simboli, dalle ripartizioni numeriche.
Se è vero che “la maggioranza” che si è espressa l’anno scorso alle urne è in realtà “una minoranza” di gente cui abbiamo dato il compito di decidere anche per noi, ebbene questo ci mette di fronte al quesito che in tanti, solo qualche ora fa, abbiamo girato a Conte: noi dove eravamo?
Il passato è passato. Cerchiamo di guardare avanti, e cerchiamo di farlo un po’ più informati e sicuramente più consapevoli dopo questa esperienza di governo, sia che la sentiamo “dalla nostra parte” o meno.
Devono essere fatte delle scelte che avranno conseguenze importanti per noi e per l’Italia in Europa.
Devono essere fatte delle scelte in tempi brevi, e per lo più in condizioni di incertezza.
Devono essere fatte delle scelte che tengano conto soprattutto del piano di realtà, anche a discapito del conforto della rappresentatività.
Secondo me, ora come ora in quanto cittadin* abbiamo tutti gli strumenti per far sentire ai nostri partiti, anche quando sono chiamati movimenti, che cosa vogliamo. Il mandato l’hanno già avuto, è ora che agiscano responsabilmente e di conseguenza.