Qualcosa da curare davvero

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Post in risposta ad un articolo su Facebook.
L’articolo è un po’ esagerato, e cade un po’ nelle argomentazioni di chi pensa al solito complotto internazionale. Non so se ci siano mai stati questi stratagemmi corali ai danni della collettività; ho sempre preferito pensare fosse una sorta di tendenza automatica, generata dal “tentativo di averci provato” che, coincidentalmente, riguarda più organizzazioni statali, parastatali, sovrastatali, enti più o meno locali, et similia. Penso che sia una sorta di “comportamento di riflesso”, un fenomeno amplificato dai gesti via via sempre più importanti man mano che il committente ha responsabilità più pesanti, e che sono generati dall’ignoranza, dalla malafede, dall’opportunismo, dall’interesse, tutti così caratteristici della nostra cultura (o meglio, di quel che ne rimane).
Nell’articolo si parla di “culto del bene ad ogni costo”; in realtà, si tratta di una cultura del bene al costo minore: ammalarsi, per un dipendente, significa doversi assentare dal lavoro per curarsi. Questo ha ovviamente effetti sulla produttività, che in certi casi può risentire dell’assenza di un certo dipendente (sto pensando a mansioni specializzate, siano esse in officina o al computer), e in ultima analisi, sui profitti. Stagionalmente, queste assenze possono essere più frequenti, e quindi generare un “costo sociale”. Non so. Credo che nelle nostre campagne l’inverno fosse la stagione in cui ci si fermava un po’, per quel che riguardava il lavoro nei campi, e ci si dedicava alle manutenzioni, a far figli, alle feste religiose, ai pranzi e AI DIGIUNI che esse comandavano. Oggi pretendiamo il servizio 24/7, e lavoriamo invariabilmente da settembre ad agosto, in parallelo con le stagioni, col maltempo, con la nostra dimensione umana.
Per far prima, ci facciamo operare i polsi quando ci viene il tunnel carpale, stadio ultimo di infiammazioni dimenticate con gli antidolorifici. La chirurgia ormai ha tempi di recupero da day hospital.
Per far prima, ci facciamo vaccinare, e poi ci imbottiamo (suppongo) di ricostituenti e antibiotici. Così non dobbiamo sprecare R.O.L. o ferie “per la malattia”.
Tutti questi ragionamenti ci stanno. Se abbiamo il modo di arginare i malanni, perché no? Non dobbiamo dimenticare che è anche un modo per controllare i falsi malati: al giorno d’oggi, chi può più permettersi di stare casa con la scusa del 37 di febbre?
No, non ci sono complotti; giusto quell’opportunismo alimentato dalla cultura malata di cui è curiosamente sintomo.
Qualcosa da curare davvero è il nostro bistrattato buon senso.

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